Sicuramente ci sono coloro, tra i giornalisti del nostro Paese, che hanno una forte componente etica ed ideale nel loro lavoro. Che vedono come sacro il rispetto di tutti quei valori che il giornalismo vorrebbe salvaguardare nel praticare l’informazione.
Ma l’esperienza di 40 anni di lettura, commento, confronto, studio (sono laureato in Scienze della Comunicazione e mi interesso di sociologia) di lavori giornalistici, mi hanno portato a pensare che ciò che è al di sopra di ogni altra cosa, per il nostro giornalismo è la linea politica ed economica dell’editore.
Il ‘padrone’ è quello che deve essere servito. Fare gli interessi di chi paga e mantiene il giornalista sul suo piedistallo di paladino della verità è ciò che rimane, al di là di proclami roboanti di neutralità, e dedizione alla realtà dei fatti.
Questo è vero soprattutto al livello di direzione della testata giornalistica. Il singolo giornalista magari potrà presentare più punti di vista, potrà analizzare il pensiero altro a quello che il direttore vorrebbe diffondere, ma poi nei titoli, nell’impaginazione, nello spazio a disposizione, nella costruzione semiotica della pagina Web o cartacea in cui viene ospitato l’articolo si dovrà dare importanza soprattutto a ciò che permette di reiterare la linea editoriale.
Dal dopoguerra ad oggi sono esistiti tanti punti di vista sulla realtà che sembra che non esistano fatti, ma opinioni.
Una parola, un titolo, una virgola di più e ciò che ha un colore per una testata di stampa cambia colore per un’altra. L’Unità presenta una verità diversa dal Giornale, Il Messaggero da un risalto diverso alla stessa cosa trattata da Repubblica, ciò che il Corriere della Sera omette trova ampio spazio sul TgCom.
Voi obietterete che il buon giornalismo consiste nel cercare di far parlare i fatti. Ma è questo il servilismo più insidioso, quello che sembra non esservi. E’ solo un modo raffinato di sostenere delle tesi, quello di omettere le critiche, di non rivolgere a Berlusconi in vent’anni domande scomode nelle interviste, di presentare come uguali opinioni assurde e giuste critiche. Tanto il giornalista scomodo si può sempre licenziare, un argomento può sempre sparire dai titoli più importanti, si può sempre evitare di essere polemici con il ministro o politico di turno. Basta essere raffinatamente servili.
Ho scelto l’immagine adatta per rappresentare il servilismo: l’anchorman Bruno Vespa insieme all’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Vespa è il giornalista che disse che seguiva l’editore di riferimento (all’epoca la DC, poi si è riciclato) nel fare giornalismo. Non ne dubito, vedendo qualità e quantità di attenzione per Silvio Berlusconi. Vespa è anche il conduttore che insisteva a denigrare sociologia e comunicazione come studi universitari. Forse persone come lui, giornalisti simili a lui, si rendono conto che una forte preparazione sulle tecniche e teorie della comunicazione di massa permette di osservare bene i fenomeni giornalistici che trasformano un paladino della libertà, quale vuole rappresentarsi il giornalista a livello sociale e storico, in un maggiordomo della ideologia e degli interessi di riferimento del suo editore.
Vi sono tanti indizi di questa connessione tra opinioni di chi scrive sui giornali e chi le paga (la frase è già tautologica), come i sempre più forti legami economici tra gruppi editoriali e poteri forti, ma credo che l’argomento non possa essere esaurito in questo post. Anche perché le persone intelligenti si sono già accorte di questo da un pezzo senza bisogno di particolari analisi dettagliate.
Basta in un giorno qualsiasi acquistare parecchi giornali e confrontarli: sembra parlino di mondi diversi.
Pluralità dell’informazione ? Per me potrebbe essere visto anche come fazioni diverse in lotta propagandistica. Questioni di opinioni diverse.