La corruzione presente nella nostra classe politica, resa evidente dai recentissimi scandali dell’Expo di Milano e del Mose di Venezia, è da considerare il sintomo eclatante di un sistema politico malato.
Il bisogno continuo di intascare tangenti dei nostri politici, non può essere soltanto frutto di una particolare esigenza di un singolo, o di una specifica cricca affaristica. La patologia della nostra elite politica consiste piuttosto nell’approccio disfunzionale alla carriera politica.
Il politico italiano ha necessità di intraprendere la strada della politica non per un ideale, né per gestire bene la cosa pubblica.
Il suo interesse è il potere in quanto tale. E dal potere come fine nascono corollari che inevitabilmente portano alla bramosia di denaro, dato che fiumi di denaro passano per qualsiasi carica pubblica che abbia potere decisionale.
Già in un mio articolo parlavo della sostanziale ipocrisia che può esservi nella discrepanza tra agire pubblico e agire dietro le quinte, nella metafora drammaturgica proposta dal sociologo americano Erving Goffman.
Il politico corrotto si presenta come quello idealista, difendendo i principi per cui viene votato, facendo della retorica classica arma moderna e aggiornata per comunicare e reperire consenso; in realtà cerca alleati, soci, per guadagnare personalmente e per rinforzare il proprio partito di appartenenza al solo scopo pratico di rinsaldare la propria posizione.
Si è visto che sempre più la corruzione viene vista purtroppo come mezzo di arricchimento personale, e le stesse forme di corruzione odierne non servono più come prima al finanziamento illecito dei partiti.
Dietro il paravento dei valori politici e sociali, vi è la realtà dell’avidità senza scrupoli.
In un articolo scritto per il mio sito di scienze sociali, parlavo dei costi della corruzione per il nostro Paese (https://www.scienzesociali.org/costo-sociale-della-corruzione-della-classe-politica/). Il peso di una classe politica che pensa solo a ‘mangiare‘ (la metafora preferita per definire la loro insaziabilità ), sono chiaramente di efficienza, perché il politico non opera per la migliore soluzione per il bene pubblico, ma solo per raggiungere il migliore affare per sé stesso e la propria associazione a delinquere di riferimento. Questo genera un lievitare di costi e di inefficienze mostruoso.
In più vi sono costi in termini di fiducia nella classe politica stessa, percepita dalla popolazione come di basso profilo morale; inoltre l’esempio negativo si riverbera su tutta la vita sociale, generando un spirito nefasto di emulazione dei metodi degli arrivisti.
L’arroganza del potere è cosa risaputa, perciò difficilmente troveremo gli anticorpi nella stessa elite politica. La soluzione vera consiste in una mentalità diversa del cittadino, che non deve vedere il potente come un boss di cosca mafiosa che detiene il comando sul territorio, ma come un servo che deve essere obbediente ai dettami della buona e onesta amministrazione della cosa pubblica.
Se questo servitore dello Stato manca al suo dovere, va cacciato in tempi brevi e certi e sostituito prontamente, senza ammettere che, nel corso della sua esistenza, possa vedersi affidare più incarichi pubblici di nessun tipo.