Il bar stava chiudendo. Michael stava nervosamente facendo gli ultimi, soliti meccanici gesti prima di chiudere la serranda, giusto un attimo prima di andarsene. Tanto sapeva che a quell’ora c’era il deserto in quella zona. Lavorava da tre anni in quel locale, era routine, monotona routine. Il solito lavoro, era diventato. Non vedeva l’ora, come tutti i giorni, di arrivare alla doccia, alla santa doccia, prima di rilassarsi nel monolocale che finalmente era riuscito ad avere in quel quartiere dormitorio.
Poi all’improvviso, in quella parentesi di vita che era uno quasi uno sbadiglio di un felino, entrò un cliente. Furtivamente, ma rapido. “Ciao, mi dai un pacchetto di patatine, per favore?”.
Fece tutto così in fretta, voracemente, che Michael ebbe un sospiro di timore.
Non era mai successo, dalla prima volta che aveva iniziato a fare il barista, che un tizio chiedesse una cosa come…che cosa? Un sacchetto di patatine? Alle nove meno 5 minuti?
Poi detto così. Si sforzò per una risposta altrettanto rapida: “Buonasera, sì, subito”.
Ma ovviamente non era così facile uscirne. Lo aveva capito. Da ragazzo sveglio quale era, Michael aveva immediatamente compreso che quel cliente era “diverso”. Pericoloso? Folle? Un criminale che cercava un improbabile incasso? Ci fu silenzio. E quei secondi in attesa di un “si, grazie” stavano gelando il sangue di quel giovane barista figlio unico di due operai, cresciuto nella parte opposta della città.
Lo sconosciuto si voltò dall’altra parte, uscì appena fuori l’entrata, che in questo modo era sbarrata. Era vestito di nero. Alto, molto alto, sopra il metro e novanta. Neanche una barzelletta, pensare di mettersi contro quel colosso, pensò Michael.
Il cliente delle patatine lo aveva imprigionato. Tutto molto semplice. Certo, c’erano le telecamere, ah si, il controllo del prossimo facile. Ma quel bestione all’entrata non sembrava interessato a un film in cui risultava ‘cattivo’. Stava lì, accendendosi una sigaretta, mentre al nostro Michael, piccolo piccolo, tremava il corpo. E in quella serata autunnale tutto era diventato freddo. Un freddo incubo di periferia.
La prima cosa che viene in mente in questi casi, penso, è che Dio, un passante, un fatto straordinario chiamato miracolo, passino a salvarci.
Squillò il telefono. Che bell’invenzione il telefono, percepì dentro il suo cuore Michael. Fece uno solo squillo: una beffa. Il povero barista non poté neanche arrivare al cordless dall’altra parte del bancone, vicino alla casa, che il colosso alla porta, si voltò. E fece un sorriso ampio, di puro godimento, verso il ragazzo. Lui e Michael si intesero pienamente. Era in trappola, mentre sudava addosso all’acciaio inox del bar.
Ma in fondo perché fargli del male? Che voleva questo tizio da un barista?
Michael aveva 29 anni, alto un metro e settantaotto, fisico asciutto. In gamba, certo, ma senza santi in paradiso per scegliersi il lavoro comodo. Aveva iniziato a lavorare col padre per piccoli lavori extra dalla fabbrica di lui.
Riparavano insieme lavatrici, elettrodomestici. Rigorosamente in nero. Banconota in mano, resto e stretta di mano dopo il caffè.
Era così contento del nuovo monolocale che si era preso in affitto qui in zona, che quando ha iniziato ad abitarci, lo ha riempito del suo mondo.
Patito del rock: Pink Floyd, Led Zeppelin, Black Sabbath, AC/DC, il rock di anni fa, il periodo d’oro. Suonava l’elettrica, e per questo i vicini, quasi tutti anziani, lo tolleravano con difficoltà. Suoni distorti, ma che musica che è? Questo è rumoraccio!
Il tizio delle patatine si avvicinò al bancone e gli chiese:”Sai qual è il mio divertimento?”. No, rispose Michael. “Vedervi tutti come dei cretini appresso ai vostri aggeggi elettronici, ai vostri telefoni, a Instagram, a Facebook, che scorrete a mille all’ora in cerca di niente.”
Poi continuò, con aria più minacciosa:”Voi giovani avete il cervello fritto, con Internet! Non è vero? No dirmi di no, che mi incazzo proprio!”. La voce era abbastanza alta, come la paura di Michael di non uscirne vivo da quest’incubo.
Altro che doccia bollente rilassante, si era cacciato in un grosso guaio senza sapere neanche perché questo idiota di colosso si veniva a sfogare della Rete proprio con lui.
Entrò un secondo un cliente amico di Michael, ma fece tutto troppo in fretta per mandare messaggi di qualsivoglia richiesta di aiuto.
“Ciao Michael, domani ti racconto che tipa mi sono rimorchiato, adesso devo andare, tutto ok?”. Quell’idiota rimase fuori urlando a squarciagola, perché in fondo era in competizione con Michael in quanto a bellezza e fascino sull’altro sesso. Mentre il cliente dell’incubo personale di Michael rideva, sadico e contento, di questo thrilling che era meglio di un film coi popcorn.
“Si, tutto ok!”, rispose il barista, sentendosi sprofondare.
Rimasero soli, lui e il metro e novanta, spalle larghissime e mani grandi.
E adesso? Pensava il ragazzo. E se divento un caso di cronaca nera, questo mi fa fuori e neanche ci pensa più?
Si, le telecamere, lui se ne era scordato da un pezzo, sfido chiunque a pensare alla registrazione di un omicidio come ansiolitico.
Il tizio gli chiese, di botto:”dimmi la tua password di Facebook e la tua mail”.
“Eh?” fu la logica risposta di Michael. Il tizio diede un calcio fortissimo ad uno sgabello vicino al bancone, e lo fece arrivare sulla Luna.
“V99xchiocciola”, “Michael94albani@gmail.com” echeggiò come se da un login dipendesse la sua vita.
Il tizio inserì sul suo telefono i dati. Entrò. E poi si appoggiò al bancone.
“Vedi? Hai notato che quando usi il telefono di solito sei come spento, un robot?”
“Invece adesso, CHE LA TUA VITA DIPENDE DA QUESTA STRONZATA, diventi improvvisamente VIVO, come una pianta innaffiata?”
“Non trovi sia troppo bello, ridiventare UOMINI?”
Ovviamente dopo la frase minaccia, il nostro eroe barista crollò, e passò dall’incubo in cui poteva risvegliarsi nel cuore della notte, alla certezza che quell’uomo non sembrava solo pericoloso, ma lo era veramente. Lo sgabello calciato via era violenza di un folle, la minaccia era purtroppo molto più lucida come follia.
“Ma perché ce l’ha con me? Se vuole le offro da bere, le va un Jack Daniels?”. Il nostro Michael raccolse le poche energie superstiti e le trasformò nel coraggio disperato di farselo amico.
“Non te la caverai così, con un whisky!”
“La password di Amazon, dimmela” esclamò il gigante, che stava semplicemente giocando.
Michael si stupiva sempre di quanto fosse paurosa la gente, di come le ragazze fossero sempre sospettose, insomma per lui la cronaca nera, i fatti violenti, erano lontani.
Lui aveva un carattere mite, era un ragazzo simpatico con tutti, e queste due cose gli avevano permesso di fare a botte solo da bambino più piccolo.
Non aveva mai fatto una scazzottata da adulto, non si ricordava più il sapore del ferro con una ferita in bocca.
Vedersi protagonista di questo thriller con morto finale lo sorprendeva, non sembrava più il mondo dove viveva. Si dice incubo apposta, perché ci sorprende, oltre che terrorizzare il nostro corpo e il nostro animo.
“Adesso io ti chiederò le password di tutti i siti che amate voi giovani. Instagram, Tik Tok, Amazon almeno me li devi dire. Sai perché so che sei iscritto? Perché io sono Internet!”
“Cosa? Cosa? Che significa?”
“Non sono un folle che è passato nel tuo bar, io sono la personificazione della Rete. Se tu sbagli una password, io ti mando al cimitero. Ma se te le ricordi tutte, io sparisco, ritorno nel mondo virtuale”.
“Hai capito?”
“Si, si, ho capito bene, gliele dico tutte”.
“Con calma non c’è fretta, prima se permetti, Michael, mi fumo un’altra sigaretta”.
Internet, come si era definito, andava a fumare, mentre il nostro figliolo stava impazzendo nel capire come sarebbe andata a finire.
Certo una persona sana di mente penserebbe che questo tizio che si autodefinisce Internet è solo un folle che si diverte a giocare con le persone più deboli di lui.
Un vigliacco, come folle, la storia delle password era veramente una stronzata. Questo tranquillizzava Michael. Mentre il tizio fumava, sulla porta, guardando una strada dove solo raramente passava un’automobile, illuminata da quell’orribile luce gialla-arancione dei fari pubblici, il nostro Michael Jack Daniels si stava rincuorando in cuor suo. “E’ solo uno stronzo”, pensava.
Dopo qualche minuto, Michael era a terra, agonizzante. Una profonda ferita gli aveva lacerato la gola. Il tizio aveva un coltello e lo sapeva usare bene.
Purtroppo per Michael, la password di Tik Tok l’aveva sbagliata. Vedi, i cinesi, come ti fregano? Fregano tutti, italiani e americani. Sono il futuro.
Il gigante sparì, in un attimo. Ma quando si visionarono le registrazioni delle telecamere, si vide solo che il povero barista era impazzito e che si era reciso la carotide da solo, in un attimo di inspiegabile follia.
Quando la madre lo seppe, svenne e per il malore dovette essere ricoverata. Il padre giurò che Michael non aveva mai dato segni di follia in vita sua. Che era buono, dolce, simpatico, un figlio d’oro.
Eppoi, come fai a suicidarti ad un passo dalla tua casetta, quando il turno da barista sta finendo.
In realtà non c’era stato nessun cliente pericoloso. Era Internet che nata come Rete per il progresso, si era presa la vita di questo giovane con il suo lato oscuro e perverso.
Non era colpa di nessuno. Era the Dark Side of the Moon, il lato oscuro del luccicante mondo dei social, della Rete, del progresso, del presente e del futuro tecnologico.
Povero Michael, pensava di poter fermare il progresso con un Jack Daniels!