Da uno scritto di Renato Nisticò, Biblioteca Scuola Superiore di Pisa, riporto un passaggio:
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Credo che le attività di promozione della lettura siano in gran parte rivolte a uno solo dei due diversi tipi di lettura di cui parlava Alfred Thibaudet nel suo libro Il lettore di romanzi. In esso il critico francese proponeva la distinzione fra liseurs (termine che potremmo tradurre con “leggenti”, coloro che leggono) e lecteurs (coloro che hanno un gusto, interpretano). Io credo e mi auspico che la lettura sia vista come un problema, una questione di rilevanza sociale solo nel secondo caso. Mi sembra di sentire subito le prime, pur sensate, obiezioni. Si dirà: se non ci si preoccupa prima di avere dei leggenti, come faremo ad avere dei lettori? È possibile che esistano dei lecteurs che non siano mai stati dei liseurs ?
Credo proprio di sì: infatti, come ho anticipato sopra, leggere non è un’attività legata necessariamente al libro, alla decodifica di messaggi scritti, ma riguarda più in generale l’interpretazione del mondo. Un lettore, se è tale, lo è già anche nel momento in cui passa nella fase intermedia della “leggenza”; la lettura infatti è più un modo del comportamento, un atteggiamento verso il mondo, che non una maggiore o minore confidenza con il libro. Ci sono molti lettori che ancora non leggono (ed è su di essi che bisogna agire); ma ci sono forse ancora più leggenti che non diventeranno mai dei lettori.[/quote]
Cioé secondo Thibaudet (la distinzione è ripresa anche in Franco Ferrarotti), abbiamo due tipi di persone che leggono libri: chi semplicemente li legge rapidamente, se ne abbevera per sete, e chi li vive, li interpreta, li assimila, ne è coautore perché ne da una interpretazione personale che è già autoriale.
Voi come vi sentite ? Lecteurs o liseurs ? Siete instancabili divoratori di libri, in modo veloce, da consumo, o siete abituati a vivere una autentica odissea del pensiero tra le pagine di un volume, ma anche di un film, di un editoriale di un giornale, nel percorso di un museo di pittura ?
Credo che la vera cultura, secondo la mia opinione, risiede in buona parte nel vivere l’opera d’arte, il testo nel senso semiotico di universo finito di significato, come un insieme di significati che vanno dialetticamente reinterpretati, rivissuti, magari scomposti, assimilati, anche parzialmente negati, in ogni modo non passivamente letti.
Il leggente consuma il tempo e lo scritto per piacere, ma non produce un’altra vita dell’opera scritta. Abbiamo oggigiorno ragazza avide di libri, che non saprebbero che raccontarne la trama in un fugace riassunto da quarta di copertina malscritto.
Ma i testi complessi, ricco, densi, i capolavori per esempio, richiedono molto al leggente, al punto che esso si trasforma in coautore perché lettore vero.
Già in un altro post del blog mi occupavo dei vari possibili approcci alla lettura di libri. Questa distinzione di Thibaudet è fondamentale per comprendere i due modi profondamente diversi in cui il libro si trasforma in lettura per l’individuo, nella cartesiana meditazione integrata nella mera lettura del testo. Produrre significato è un’operazione diversa da leggere. Per noi e per gli altri.